Saturday 26 March 2011

E Allora Ditelo.

Sono stata ottimista.
Ho pensato che cercando su Google "Marco Columbro" mi sarebbe apparsa una foto della sua celebre espressione basita, quando nei gloriosi anni '90 lancio' l'indimenticabile tormentone del E allora ditelo!
Ovviamente tale foto manca, ma in compenso mi dovrebbero spiegare perché, invece, mi compaiono immagini di ragazze in tanga. Misteri della rete.

Da quando mi sono trasferita in Inghilterra, ho riscoperto la potenza di questa dimenticata espressione idiomatica, di cui penso non esista la traduzione in Inglese. Non esiste per un motivo particolare: non e' una risposta contemplabile, e ora vado a spiegarvi il motivo di cotanto animato post.

Situazione tipo: stai organizzando una mostra con altre quattro persone.
Non poteva esserci altra situazione tipo visto che il Blog si basa interamente su questo, barcamenandosi tra Inglese, Italiano, pochissimo tempo per scrivere e una necessaria autocensura.
Tornando alla mostra, va scritto il comunicato stampa e trovato un titolo definitivo: si fa la riunione. Oh, c'e' una persona che non può venire, ma che promette di appoggiare qualsiasi scelta sarà fatta. Benissimo!
Si opta per un titolo, si sottopone al supervisore che puntualmente lo rigetta. Inizia un tete-a-tete via email con il suddetto supervisore per trovare qualcosa di più appropriato. Fatta la proposta, la sottoscritta (che si e' presa l'oneroso incarico delle PR), manda email ai colleghi con il nuovo titolo che ha già riscontrato l'approvazione del supervisore.
"Fatemi sapere che cosa ne pensate, please", perché ovviamente vige la libera opinione, la democrazia e tutti quei buoni propositi la'. Due settimane di silenzio, arriva il giorno della spedizione del comunicato stampa. Si fa un'altra riunione ed ecco come se ne esce la stessa persona che l'ultima volta era assente: "Non mi ricordo di aver approvato questo titolo. Possiamo sceglierne un altro?" Al che io guardo gli altri tre con gli occhi di fuori e, chi più e chi meno, timidamente la appoggiano:
"Beh, si, in effetti non e' che questo titolo abbia molto senso..."
"Eh, lo penso anch'io."
"In effetti cambiamolo!"
"Eh, ragazzi..." faccio io "...sapete come funziona coi comunicati: o partono due settimane prima o non se ne fa niente..." Prendo un grosso respiro e aggiungo: "Inoltre, non ve ne potevate uscire due settimane fa, quando ho mandato la mail chiedendo cosa ne pensavate?" Che tradotto sarebbe: E ALLORA DITELO! No?

L'Inglese DOC a questo punto già ti guarda male.
Si, perche' qui e' maleducazione dire a qualcuno che una cosa non ti piace o non ha senso, pero' ha più senso fermare un'intera "campagna di marketing" (metto fra virgolette perché in finale siamo cinque studenti sfigati che studiano per diventare curatori) perché alla fine il modo si trova. Più subdolamente.
Certo e' che, dopo tre anni, avrei dovuto imparare che il "silenzio stampa" da parte dei tuoi colleghi non presagisce nulla di buono.
Avrei dovuto capire che "it's not too bad" in realtà' vuol dire "fa davvero schifo."
Anche un aggiornamento sulle moderne imprecazioni in lingua Inglese non sarebbe stato troppo sbagliato.

Ogni volta la stessa storia e, ogni volta, ho visioni della faccia esasperata di Columbro, circondato da giovani ragazze in fiore che ballano in bikini, che pronuncia la fatidica frase con i coretti di sottofondo.

Get LOST: Matthew Fox dal piccolo schermo alle tre pareti

C'e' un motivo per cui Londra e' la patria del gossip: ci sono piu' star internazionali a piede libero qui che alla notte degli Oscar. 

Sei al lavoro e ti entra Bill Nighy, mentre Amy Winehouse e il suo casco di banane per capelli fanno le loro sporadiche apparizioni dal vicino dentista. Una mattina si e dieci no ti imbatti in Noel Gallagher, con cui ormai scambi un conviviale 'ood 'Morning. Le inaugurazioni delle mostre sono talvolta allietate da visioni di Orlando Bloom e Jude Law. E a teatro ti ritrovi nientepopodimenoche' il Dottor Jack Shepard, la star di Lost, vero nome Matthew Fox.

Lo ammetto, sono andata per vedere lui, non perche' sapessi chi fosse Neil LaBute, che tra l'altro mi si e' rivelato essere un grandissimo misogino. In a Forest Dark and Deep parla della rivalita' tra fratelli, in questo caso tra fratello e sorella. Lei, che tra l'altro e' Olivia Williams (la moglie di Bruce Willis ne "Il Sesto Senso"), deve traslocare dalla baita di campagna e chiama il fratello per farsi aiutare.
L'avesse mai fatto. Dopo dieci minuti che Fox e' in scena, stappa lattine di birra, fa finta di mettere libri dentro gli scatoloni e dice tre parole e quattro fuck, si capisce che la serata finira' tutt'altro che a tarallucci e vino. Billy, il suo personaggio, non solo non aiuta, ma inizia tutta una serie di recriminazioni che, alla fine, portano a scoprire lo "stile di vita" segreto della sorella che, a detta sua, e' meschina e manipolatrice. Lei, Betty, a parte il provare a dire "adesso pero' basta" si piglia di tutto senza neanche tirargli appresso una padella ma solo un paio di strofinacci pure puliti.

E che avra' mai fatto questa povera donna per attirarsi le ire funeste del fratello?
Fa l'insegnante, quindi ha tre mesi di vacanze l'anno: sbagliato. Billy fa il manovale, un lavoro vero.
Ops, si scopre che tradisce il marito: immorale. Pure li Fox si e' prodotto nelle imprecazioni piu' incredibili, inclusa: "suppongo che l'unico uomo del circondario che non ti sei scopato sono io." Caruccio. Andando avanti con la trama, che si sviluppa in equilibrio precario tra questi esplua' maschili e una tenue difesa femminile, viene fuori anche la ragione per cui Betty deve traslocare: il suo amante era uno studente. Era? Si, perche' e' morto. Come e' morto? Ha avuto un incidente.
Ah. E volete sapere come va a finire? Dopo aver vinto i Campionati Mondiali di Predicozzo Fino allo Sfinimento, Billy decide finalmente di aiutare la sorella pasticciona. Perche'? Perche' in effetti l'ha ammazzato lei, lo studente, che aveva deciso di mollarla (ops, forse non dovevo scriverlo. È uno spoiler grosso come una casa!) Al che suppongo il pubblico si aspetti di vedere calare la scure, viste quante glie ne ha dette in precedenza. Ma no, situazione troppo seria per girare il dito nella piaga, il senso fraterno prende il sopravvento.

Non vi sembra una piece teatrale un po' assurda? Conosco una persona che l'avrebbe scritta cento volte meglio. Niente da dire sugli attori: Fox e Williams reggono due ore di monologhi, botta e risposta, tensioni e oggetti che volano per la scena, incluso uno schedario di metallo. No, non un raccoglitore, proprio un mobiletto di quelli pesanti. E, non contenti, all'uscita dal backstage si intrattengono anche con i fans, firmando autografi e facendo foto.
Si, ho fatto pure quello, in nome di tutte le ore passate a guardare Lost e a fare il tifo per Jack. Ho questa "policy" personale di rompere le scatole il meno possibile ai famosi, ma ho un marito che si lascia trascinare e che quindi si e' fatto autografare un libro sui Buchi Neri appena comprato, ha girato un video col suo telefonino del 1902 e ha cercato di spingermi a fare una foto insieme a lui, che ho rifiutato.
"Dai, vagli vicino!"
"Ma nooo..."
"Dai, che faccio la foto!"
"Ma dai, poraccio..."
In quel momento mi e' sembrato un animale raro, tirato a destra e a sinistra, e ho davvero rispettato la sua pazienza. Poi ho scoperto che ha una moglie Italiana, e probabilmente ha capito tutto quello che dicevamo. Ops.

Nota: in Inglese, "get lost" significa "sparisci, levati di torno". Un gioco di parole decisamente rivolto al personaggio creato da LaBoute, che speriamo sia venuto fuori solo in un momento di estrema frustrazione verso il genere femminile!

Sunday 6 March 2011

Il Vecchio Maglione

Ethel felt strange in the old house. She had imagined it would be comfortably familiar, like a pair of boots that have taken the shape of the feet that have worn them for years. But in fact she was vaguely uneasy. It seemed more like the home of familiar old neighbours (...) She did not feel that this was her place.
Ken Follett, Fall of Giants,
London: Macmillian 2010, p. 437



Come riescono a cogliere nel segno, i grandi scrittori.
Ci sono enormi cambiamenti nella vita di ognuno di noi, ma spesso non se ne coglie la grande portata che a poco a poco. Quando uno si sposa sa che deve andare via dalla casa in cui e' cresciuto, ma forse non si aspetta la tempesta di sentimenti che lo accolgono ogni volta che vi fa ritorno. Se poi, come me, ti sei trasferita all'estero subito dopo il matrimonio, perfino la città in cui sei nata fa lo stesso effetto, e a volte l'anima si contorce nel balletto delle definizioni, di cosa chiamare casa.

Proprio l'estate scorsa, mentre guidavo di nuovo la macchina sulla Cristoforo Colombo (un'azione così familiare da cancellare in un momento tutta la mia vita parallela nella Perfida Albione), mi e' venuta in mente la metafora del vecchio maglione. Ken Follett, uno dei miei scrittori preferiti, ha scelto di spiegare un sentimento di confortevole familiarità con una scarpa vecchia che prende la forma del piede che l'ha portata; io, in risposta a chi mi chiedeva che effetto mi faceva tornare a casa, ho detto che Roma mi dava l'idea di un vecchio maglione che hai portato per anni e anni e poi hai chiuso in un armadio, totalmente incapace di buttarlo via; ancora bello perché pieno di ricordi, ma fuori moda, diverso da cosa si e' diventati. Un indumento che e' stato e sempre sarà parte di te ma non ti rappresenta più.

Credo che tutto questo riguardi il crescere, in generale. Una cosa di cui spesso si ha paura, perché quando si abbandona ciò che e' familiare ci si ritrova da soli a contare sulle proprie forze, e devo ammettere che non sempre si ha la voglia. 
Il tornare in questi luoghi fa bene al cuore e allo stesso tempo stordisce, fa fare il punto della situazione, tira dentro paragoni e alla fine ti lascia un po' svuotata; quando invece ti ritrovi nella terra in cui hai scelto di vivere, che sia momentaneamente o forse no, si riscivola nella routine e lentamente si crede di dimenticare.

Friday 4 March 2011

That is the question

Hello, my invisible readers.

It's been a while and yes, I am pretty busy, but this absence also bears some speculations that I am going to share with you right before February ends and there will be no post to read under this month.

Ups, February has ended, I am just re-opening this post today and it will now be published under March. Whatever.

The point is, it is not very exciting to have a blog if you don't have an interacting community. I know I have made some mistakes: I write in English, but it's not my mother tongue, so the few blessed souls that bump in this rantings must have some serious difficulty. I have discovered lately, while writing a proposal for a show, that sometimes my sentences don't really make any sense.
The reason being that of the phrase construction, which is still unfortunately set on Italian.

At the same time, writing in English excludes all the lazy Italian community, people who usually love to interact but make darn sure not to in another language. In conclusion, I speak about something not everyone is interested in and that is taken very, too seriously to be joked about: curating. Organising shows. Basically, I am in no man's land.

A decision is needed, and I must admit that I miss writing in my own language, con il quale ho molte piu' possibilita' espressive nonostante la mancanza delle lettere accentate sulle tastiere Inglesi. Apprezzate la fluidita'. Testate lo scorrere del linguaggio, senza intoppi da momentanea ricerca del termine giusto sul vocabolario. Aaaah, mi sento come se mi stessi sgranchendo le gambe (sgranchire! Ma come si dira' in Inglese...), o stirando le membra (stretching my limbs? Sounds poetic...)

I don't want to get rid of the English of course: I love writing like this, despite the fact that I am unable to totally grasp every nuance of this language. Let me tell you that I am inaugurating a new section of the blog, "In Italiano".
Qui troverete dei post scritti nella mia lingua natia che pero' non avro' il tempo di tradurre in Inglese...anche perche' potrebbero esserci lamentele varie verso il paese ospitante.

Che forse e' pure ora.